Per molti anni le aziende si sono affidate alla tecnica dello storytelling, per modulare la propria comunicazione con l’esterno. La tecnica ha tantissimi vantaggi. Non ultimi, esporre i valori aziendali, attirare nuove potenziali risorse, creare un legame emotivo e caldo con gli utenti.
Da alcuni anni, però, assistiamo ad un progressivo slittamento verso lo storydoing, necessario a spiegare come l’azienda applica i propri principi di CSR, o Corporate Social Responsability.
Ma cos’è il CSR? E soprattutto: come si comunica, e non si comunica?
Cos’è il CSR
Il CSR è l’insieme di valori che un’azienda fa propri e supporta nel campo del miglioramento sociale.
Per spiegarlo è molto utile fare qualche esempio.
- Un’azienda di auto che si propone di ridurre le emissioni di tutte le proprie vetture sta facendo propri i valori della salvaguardia ambientale;
- una società che si propone di affidare ruoli apicali a donne, o a aumentare la diversità di etnicity nel proprio staff aumenta l’azione verso le pari opportunità;
- un produttore di cibo che acquista materie prime da coltivatori locali, che lavorano con l’agricoltura biologica e di fair trade comunica il proprio CSR in fatto di sostenibilità ambientale e lavorativa.
Dallo storytelling allo storydoing: cosa è cambiato
Come abbiamo detto in apertura le aziende hanno per decenni usato il sistema dello storytelling per comunicare i propri valori.
Nello stesso tempo, però, i consumatori sono diventati più consapevoli: non vogliono più sapere cosa le aziende dicono di star facendo per la responsabilità sociale, ma cosa stanno effettivamente facendo.
Questo è lo storydoing (la “storia dello star facendo“). Utilizzare questa tecnica permette di sottolineare realmente i propri valori aziendali, comunicare in modo più efficace il CSR e acquisire affidabilità e credibilità agli occhi dei consumatori.
Quando lo storydoing non funziona: i washing
Quando le aziende affermano di perseguire certi valori tramite il proprio CSR, ma le loro azioni le smentiscono, i consumatori perdono fiducia. Gli effetti peggiori sono l’attacco pubblico e il boicottaggio.
Lo storydoing in questi casi non ha funzionato: scontrandosi con i fatti, si sono rivelate falle e mancanze.
L’effetto più frequente è quello dei washing, i lavaggi a tinte sociali. Ecco qualche esempio:
- le aziende che si dicono in prima linea contro il cambiamento climatico ma utilizzano processi inquinanti per le proprie attività fanno greenwashing. Cercano di arruffianarsi i consumatori ambientalisti con una comunicazione ad hoc, ma le loro azioni le smentiscono;
- le società che dicono di voler assumere più donne, ma poi non lo fanno (o non offrono pari condizioni di lavoro e retribuzione) fanno pinkwashing;
- chi mette sui social il proprio logo con la bandiera arcobaleno durante il Pride Month, ma poi non ha collaboratori gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, genderfluid o agender nelle posizioni più rilevanti fa rainbowwashing.
E potremmo continuare. Ogni decisione che viene presa nei CDA ed espressa con la comunicazione del CSR deve essere poi sostenuta dai fatti, da azioni concrete.
Come si comunica il CSR: alcuni aspetti universali
Abbiamo parlato di come le aziende non devono comunicare il CSR, cioè con comunicati roboanti e promesse che sanno di non voler o poter mantenere.
Ecco allora alcuni aspetti che ogni campagna di CSR può valorizzare, al contrario, per acquisire credibilità.
In fase strategica pianificare anche le azioni concrete
Se un’azienda ha deciso di comunicare il proprio CSR, la strategia adottata deve tenere conto anche delle azioni concrete che verranno portate a termine, non solo di quelle strettamente legate al marketing.
Se si sostiene di voler assumere più donne è necessario strategizzare in quali ruoli inserirle, in quali tempi, a quali condizioni di parità lavorativa.
Proporsi piccoli traguardi progressivi
Anziché sostenere di essere “la prima azienda che combatterà il razzismo”, meglio scegliere un obiettivo più piccolo e più facilmente raggiungibile. Ottenuto quell’obiettivo è possibile pensarne uno più grande, e così via fino allo scopo definitivo. Questa progressione induce i consumatori a pensare che la motivazione alla base della scelta sia realmente forte.
Comunicare il CSR con trasparenza: spiegare azioni, tempi e modi
Sostenere che ad un certo punto della storia aziendale il 50% dello staff sarà composto da minoranze è un’affermazione vaga e che lascia molti dubbi ai consumatori più attenti.
In quanto tempo si vuole arrivare a quell’obiettivo? Quali sono le posizioni aperte in cui verranno inseriti professionisti appartenenti a minoranze? Si tratterà di posizioni gregarie o ad alto valore di crescita e responsabilità? Quali campagne verranno pensate per trovare queste figure? Esisterà un reparto interno o esterno di sorveglianza delle azioni intraprese? Quali saranno gli effetti in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo?
In questo caso la chiave è la trasparenza, usata per comunicare tutte le fasi del processo.
Ammettere gli errori e mettere in campo soluzioni per risolverli
A meno che l’obiettivo fissato non sia davvero molto piccolo è improbabile riuscire a raggiungerlo con facilità o in tempi molto stretti. Qualche affermazione, comunicato stampa o azione potrebbe anche smentire la genuinità dello scopo.
In questi casi è fondamentale ammettere istantaneamente l’errore, prevedendo una strategia di gestione del rischio di perdita di credibilità. Con l’ammissione dell’errore è necessario spiegare quali saranno le soluzioni messe in campo per risolvere il problema. Non altre parole, molto facili da smentire, ma fatti reali e concreti.